L’universo di Marcello Mancuso si muove in un sistema di connessioni invisibili che esplorano i legami che intercorrono tra la realtà fisica e quella intangibile dell’essere. Ciò che di più interessante e prezioso esiste nella realtà sfugge: l’identità personale, la percezione della bellezza, la dinamica sentimentale sono letteralmente inafferrabili e impossibili da rendere per mezzo di una pittura iconografica e rappresentativa. Catalogando si esercita inevitabilmente un dominio e una restrizione che le opere di Mancuso sembrano mettere in crisi. Non si tratta di pittura come rappresentazione, nemmeno di pittura come forma d’indagine analitica ma, pittura come espressione di un luogo metafisico dove l’immagine si dissolve nello spazio-luce e il colore diventa la sede del Tutto. Mancuso è artista capace di guardare nella complessità e di cogliere l’essenza nella totalità, andando oltre la linea ideale che separa l’oggetto dall’insieme di cui fa parte. Un famoso filosofo americano contemporaneo, Danto, asseriva, nel suo celebre scritto La destituzione filosofica dell’arte, che “l’arte non è altro che lo strumento della filosofia”. Forse la citazione è un po’ azzardata, eppure le opere di Mancuso sembrano rientrare in questa concezione filosofico-concettuale dell’arte. I suoi lavori esprimono una summa dei concetti della filosofia antica; gli stessi titoli dati alle opere suggeriscono chiavi di lettura prettamente filosofiche. Si parta per esempio da Arché. Archè in filosofia indica il principio unico ed eterno di cui ogni cosa è costituita, pur nella diversità di ogni sostanza terrena; ma anche la forza che determina il divenire del mondo. Nelle opere di Mancuso questoarché emerge come punto di partenza nella ricerca dei significati delle cose, ricerca di cui l’artista si fa promotore edificando una forma di sapere aperto fondato sulla possibilità d’interpretare le cose da molteplici punti di vista.E’ come se l’opera fosse un invito a cercare di capire meglio il reale per rispettarne la complessità. Un’altra opera, invece, si appella al concetto platonico di mimesi, ossia di come l’universo fisico debba esser considerato un’imitazione dell’universo ideale, per cuirappresentarlo non avrebbe senso, alludendo forse anche alla funzione creativa dell’artista quale Demiurgo, Artefice, creatore, che contemplando i modelli ideali tenti di riprodurli nel mondo fisico. Ciò che rappresenta è quindi un’idea e non una realtà fisica. Gestalt richiama quella corrente psicologica berlinese degli anni Trenta per la quale l’oggetto esiste solo quando rapportato all’essere. E’ interessante notare l’importanza data al fattore della percezione, e quindi al ruolo attivo dello spettatore che dà ogni volta nuova vita all’opera, ogni volta diversa. Tutte le opere, infine, sono un inno al Panta Rhei diEraclito: tutto scorre. I sensi stessi attestano che tutto è in movimento e nulla dura in eterno. Tutto si trasforma e se cerchi di rappresentare qualcosa, nel momento stesso in cui l’hai impressionata quella è già altra cosa. Questa teoria è strettamente collegata a quella degli elementi primordiali, che si uniscono e si separano incessantemente provocando ogni volta la vita e la morte delle singole entità , per poi ricominciare da capo. L’arte di Mancuso è dunque un’arte densa di filosofia ma estremamente attuale. Citando ancora Danto “Solo l’arte consapevole della propria natura concettuale può sopravvivere alla contemporaneità”. SilviaMaria Rossi